La storia di Khaled, giovane Afgano e Atleta Partner di Special Olympics

20 Giugno 2022 – Giornata Internazionale del Rifugiato

Ben piegata, c’è la maglietta dei Giochi Nazionali di Special Olympics, nella valigia di Khaled, giovane afgano di ventuno anni, un passaporto nuovo di zecca e un biglietto aereo per Barcellona in mano. Solo andata. Tra le cose più care che porta via con sé, della sua esperienza di rifugiato in Italia, c’è la recente trasferta di Torino, dove la Rai gli ha dedicato un bel servizio andato in onda al Tg2.

A nove mesi dai fatti tragici della scorsa estate quando i talebani hanno preso il controllo di tutte le province afgane costringendolo alla fuga, Ghulam Murtaza Ekhlas, per gli amici più semplicemente Khaled, riavvolge il nastro della sua esperienza che lo ha portato con la maglia di un team reatino di calcio a cinque (Fd 18 Special), a disputare come Atleta Partner un grande evento.

“Lo sport e Special Olympics – racconta – sono stati l’unico appiglio per rimanere attaccato alle cose belle della vita, in un momento di grande disperazione. A Kabul svolgevo un’attività di traduttore e insegnante, collaborando con il governo degli Stati Uniti e con altri stati europei. Dato il mio ruolo, quando le truppe statunitensi si sono ritirate e con la successiva offensiva dei talebani, non ho avuto scelta. Dovevo lasciare il mio paese”.

Il viaggio della speranza

Impossibili da dimenticare i sei giorni vissuti prima dell’imbarco in un aereo militare con destinazione Roma:

“L’aeroporto di Kabul era assediato – ricorda Khaled – ci sono voluti tre giorni per entrare, tra violenze, spari e tanta sporcizia. Ero sul punto di rinunciare, quando ho ricevuto il via libera da alcuni amici di un’organizzazione europea per il mio viaggio. In quei giorni terribili ho conosciuto una ragazza afgana che era incinta e ho cercato di proteggerla, tenendola con me. Ora è diventata mamma e ci sentiamo spesso. Abbiamo affrontato un volo lunghissimo, nella stiva di un aereo militare, ammassati e infreddoliti. Io avevo addosso soltanto una maglietta a maniche corte”.

L’incontro con Special Olympics

Qualche giorno in un hotel, quindi l’assegnazione ad una cooperativa di Rieti.

“Alcuni membri della mia famiglia erano in Spagna ma io sono stato felice di avere come destino l’Italia,avevo sempre ammirato la cultura e l’umanità del suo popolo. La conferma mi è arrivata dopo pochi giorni dal mio arrivo a Rieti. Special Olympics ha proposto ad un gruppo di rifugiati afgani di partecipare ad un incontro con un team del posto, per la settimana europea del calcio. È stato il mio primo contatto con dei ragazzi che mi hanno voluto con loro, mi hanno voluto in squadra. Ho accettato con molto entusiasmo, anche se di carattere sono molto riservato e silenzioso, perché con loro ho provato un sentimento familiare che non avevo mai sperimentato prima. Gli allenamenti, le risate, gli scherzi, le trasferte, le merende insieme. Sono stati dei bei regali, per me”.

I documenti che non arrivavano e i Giochi Nazionali Special Olympics

“Ho atteso tanto il mio passaporto: un documento che mi rende finalmente libero e riconosce tutti i miei diritti. E pensare che è arrivato proprio quando ero ai Giochi Nazionali Special Olympics a Torino ed ho rischiato di perderlo, per un’incomprensione. Avevo paura di dover lasciare la mia squadra per presentarmi in Prefettura per sbrigare tutte le formalità del caso, invece fortunatamente le persone che mi hanno seguito hanno spiegato alle autorità i motivi della mia presenza a Torino ed hanno ottenuto il permesso perché portassi a termine l’esperienza dei Giochi Nazionali.

È stato un viaggio fantastico, che mi ha reso una persona più aperta e pronta al dialogo, più libera da tante paure. È la bellezza dello sport unificato e di Special Olympics, in cui ognuno può dare la sua parte e ricevere tanto affetto e amicizia. Mi hanno sorpreso la cura nell’organizzazione, l’atmosfera che si respirava nei momenti ufficiali come la Cerimonia di Apertura nello Stadio Grande Torino. Non mi ero mai sentito protagonista in un evento così grande. Ho fatto il pieno di attimi che non dimenticherò mai”.

 

La fiducia nel futuro

“Raggiungerò alcuni familiari, lavorerò sodo, aiuterò un’organizzazione che supporta i diritti delle donne e delle persone più fragili nel mio paese. Studierò ingegneria informatica per arrivare un giorno a laurearmi in una prestigiosa facoltà inglese. Voglio che la mia vita abbia un senso per gli altri e possa essere ricordata, in futuro, per aver dato qualcosa alla mia comunità, a cui mancano ancora i diritti fondamentali. Penso soprattutto alle donne. Ho visto troppe violenze, in Afghanistan, che hanno ferito me e tutto il mio popolo. Adesso devo dare il mio contributo per costruire un futuro di uguaglianza e libertà di espressione. Special Olympics riassume tutti questi principi fondamentali. Usa lo sport come mezzo, e io continuerò a sentirmi parte del mio team e sarò felice in futuro di prendere un aereo per raggiungere chi mi ha accolto con tanto affetto per giocare ancora insieme”.

 
 
 
 

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