A casa di Luca. La storia di un atleta, di una famiglia.

“All’epoca – ricordano i genitori Rita e Luciano – non si sapeva ancora cosa fosse realmente l’autismo. I medici consultati ci dissero che Luca non avrebbe mai imparato a leggere e a scrivere. Non ci avrebbe certamente riconosciuti come genitori e la soluzione migliore era quella di rinchiuderlo in un Istituto. Ipotizzavano che una delle cause potesse essere attribuibile al rapporto con la mamma, alla mancanza di affetto, gioia, sorrisi, serenità. Era una teoria, ma noi l’abbiamo dovuta subire tutta”.
“Luca non parlava, si metteva in un angolo della camera, urlava, faceva gesti ripetitivi e si mordeva la bocca. Non potevamo uscire con lui, neanche per andare a fare la spesa. La casa doveva avere spazi liberi, dovevamo tenere tutto chiuso a chiave. Luca, che all’epoca aveva 5 anni, con il tempo peggiorava ed in noi crescevano ansie e preoccupazioni”.

Il metodo Doman
“Ci siamo sforzati – proseguono i genitori – di trovare una strada, un canale di comunicazione con nostro figlio; l’indecisione da parte dei medici ci ha portato a credere che la soluzione andava ricercata da un’altra parte e non ci siamo arresi”.
Gran parte della vita di Luca Ferreli, 34 anni di Ilbono in provincia di Nuoro, è stata ripresa da una telecamera per documentare una terapia seguita per tanti anni a Filadelfia; un amore caparbio che ha portato Luca fino negli Stati Uniti, in un centro che utilizzava un nuovo metodo nella cura dei bambini autistici: il metodo Doman. “Attraverso questo metodo – raccontano i genitori – vengono forniti input continui; si ripercorrono tutti quelli che rappresentano i passaggi di uno sviluppo normale e si lavora laddove si verificano alcune lacune: dallo strisciare, gattonare, camminare fino ad arrivare al linguaggio. Luca ha mostrato risultati eccellenti ed immediati, risposte positive che ci hanno dato una grossa spinta nell’andare avanti con una sempre maggiore convinzione”.
Inizia così, all’età di 7 anni, il percorso di rieducazione psicomotoria di Luca, basato su di un rigido programma che prevedeva obiettivi precisi da raggiungere. Luca ha imparato a leggere per immagini, una sorta di processo al contrario che lo ha portato a memorizzare la parola per poi passare alle singole sillabe. Ogni giorno percorreva 1200 metri strisciando, 4000 metri a carponi, 5 km di corsa ed ore di capriole ed altri esercizi di ginnastica.

Special Olympics
Il corpo di Luca parlava più di tante parole, dal percorso di rieducazione alla partecipazione alle gare sportive il passo è stato breve. “Luca – ricorda il papà che lo seguiva negli allenamenti – era arrivato a fare 100 addominali in meno di un minuto; capriole ed esercizi sempre più difficili che corrispondevano a quelli propri della ginnastica artistica e gli hanno permesso di sviluppare questa sua grande capacità. Non lo sapevamo – afferma la mamma – ma in realtà Luca era un ginnasta a tutti gli effetti”. In quegli anni, grazie a Special Olympics, Luca ha iniziato a gareggiare vincendo per tre anni consecutivi la medaglia d’oro in tre diverse edizioni dei Giochi Nazionali. Rita e Luciano hanno fatto diventare il problema di Luca un’opportunità per affrontare anche il problema di altre persone con disabilità intellettiva riunendole all’interno del Team Special Olympics, Ogliastra Informa; tutte persone che come Luca avevano bisogno di attenzioni particolari e che soprattutto grazie alla possibilità di fare sport hanno fatto grandi progressi.

La forza di una famiglia
La sfida più grande l’ha vinta l’unione di una famiglia che non si è mai arresa alle difficoltà ed ha lottato, con tutte le proprie forze, insieme a Luca. Dal 1990 al 1998, ogni sei mesi, con tutte e tre le sorelle al seguito, Laura, Lisa e Letizia, partivano per Filadelfia. Appuntamenti continui attraverso i quali poter testare i progressi fisici e mentali di Luca e porsi, tutti insieme, nuovi obiettivi da raggiungere. Un lungo percorso ricco di soddisfazioni, fino alla decisione di interrompere la terapia con il metodo Doman.
“Luca stava molto meglio – afferma Rita – siamo arrivati ad impegnargli tutta la giornata, non aveva più tempo “per fissare il muro”; la sua era diventata una vita possibile. Venticinque anni prima non avremmo mai neppure potuto sognare un risultato del genere, il fatto che tutta una famiglia potesse spostarsi per lui, partecipare attivamente, tutti insieme, alla terapia; siamo cresciuti con lui. E’ stata come una rinascita, una seconda vita. Luca ci ha dato l’opportunità di essere quello che siamo”.
“All’inizio – conclude il papà – pensavo di non meritarmi un figlio così; ho sofferto tanto, anche se per farmi forza non la mostravo. Oggi sono felice, abbiamo raggiunto uno standard di vita che ci permette di vivere come gli altri, forse meglio degli altri”. “L’autismo – conclude la mamma – è una serie di equilibri fragilissimi, un insieme di bicchieri di cristallo. Quando una famiglia è unita anche si sposta un bicchiere, gli altri riescono a reggerlo”.
“Luca – afferma la sorella Lisa – mi ricorda la Guernica di Picasso, un quadro molto incasinato ma nel suo complesso è un qualcosa di bellissimo.
Mio fratello riesce a regalarmi cose che la realtà in cui vivo non riesce”.

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